Comune di Chiaramonti

Provincia di Sassari
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Chiese

Chiesa di Santa Maria Maddalena

La piccola chiesa sorge a circa 6 km dal paese di Chiaramonti, a breve distanza dalla statale Chiaramonti-Martis, su un pittoresco altopiano naturale.

La chiesa fu donata il 10 luglio 1205 da Maria De Thori, l’illustre nobildonna sarda vedova del Giudice di Thorres Comita II, al priore generale dell’Abbazia di San Salvatore di Camaldoli, con servi, ancelle, case, selve, terre, animali e alcune campagne dell’agro di Nulvi.

Nel Condaghe di San Michele di Salvenero (antico documento di epoca medievale), dove viene riportata la notizia secondo la quale a Orria Pithinna si erano rifugiati una giovane serva appartenente all’Abbazia di Salvenero, una certa Maria Pira, ed il libero Pedro Flumen. I due innamorati infatti, per impedire che si celebrasse il matrimonio della donna combinato dall’Abate, decisero di scappare e si rifugiarono qui. Sfortunatamente furono raggiunti dall’implacabile emissario dell’Abate e pur potendo restare insieme dovettero sottostare al duro principio in base al quale i figli che fossero nati sarebbero divenuti servi dell’Abbazia di Salvenero.

La chiesa, risalente al 1205, è ancora ben conservata e leggibile negli elementi costruttivi.

In origine la chiesa aveva una pianta basilicale con aula volata a botte e conclusa ad oriente da un’abside semicircolare. Che la copertura fosse a volta è attestato sia dalla posizione degli archetti pensili esterni, sia dalle mensole presenti all’interno della chiesa alla base dell’intradosso dove poggiavano le centine usate per la costruzione della volta.

Nel primo trentennio del 1300 furono aperte alla fine della navata due cappelle laterali con volte a botte e fu rinforzata l’aula con 4 sottarchi sui pilastri addossati alle pareti longitudinali.

La facciata presenta un rivestimento in conci squadrati di trachite rossa che, in filari regolari, si alternano ad altri di calcare, secondo il policromismo litotomico della scuola pisano-pistoiese.

Sul prospetto, a sinistra del portale, un’iscrizione incisa su due blocchi di calcare riporta il nome del responsabile del cantiere e l’anno di ristrutturazione (1325), lo stesso anno è inciso all’interno della chiesa nella cornice del pilastro di accesso alla cappella posta a destra. La chiesa presenta varie incisioni sulla pietra, tra cui quelle raffiguranti le impronte dei pellegrini, o meglio le orme dei calzari che i pellegrini indossavano nel loro peregrinare. Questa chiesa si trova lungo la via di pellegrinaggio che aveva come meta la basilica di San Gavino a Porto Torres, sede dal 1000 circa del rinnovato culto dei martiri turritani.

L’intitolazione a Santa Maria Maddalena compare a partire dal 1709.

 

Il villaggio medievale di Orria Pithinna

Il villaggio medievale di Orria Pithinna, situato nei pressi della chiesa in stile romanico-pisano di Santa Maria Maddalena, in territorio di Chiaramonti, compare citato nel condaghe di San Michele di Salvennor (XII secolo).

Il toponimo Orria Pithinna significa piccolo granaio.

Del 1205 è l'atto di donazione con cui la nobildonna Maria de Thori, legata alla famiglia giudicale da vincoli di parentela, dona al monastero di Camaldoli le chiese di Santa Maria e Santa Giusta di Orria Pithinna (oggi conosciuta come Santa Justa de sas abbas) con tutti i terreni, uomini e animali. Il villaggio e il monastero rimangono in vita per tutto il Duecento e per metà Trecento.

Orria Pithinna appare citata nei registri delle decime ecclesiastiche per gli anni 1342, 1346 e 1347. Il 18 dicembre 1347, dopo essere stato confiscato ai Doria ribelli, è infeudato, insieme ai limitanei villaggi di Orria Manna e Martis, al nobile Ponç de Santapau. Tuttavia questa infeudazione non ha attuazione perché contemporaneamente il Governatore del Regno di Sardegna Riambau de Corbera aveva assegnato la curatoria d’Anglona a Giovanni d’Arborea. Probabilmente dopo questa infeudazione è compilato a fini fiscali un elenco (ultima attestazione della vita di Orria Pithinna) delle ville possedute dai Doria in Anglona, insieme ai tributi da loro dovuti: da quest’elenco risulta che nel villaggio pagavano 1 libbra di alfonsini minuti 40 uomini, contro i 140 di Nulvi, gli 80 di Orria Manna e i 150 di Ostiano de Monte. Da questo momento in poi del villaggio non si hanno più notizie e nel 1388 è dato come spopolato e distrutto. I resti del villaggio sono ben visibili nei terreni a nord della chiesa, dove le arature continue e sempre più profonde hanno riportato in luce le tegole e le pietre delle case e frammenti di ceramica (tra cui la Maiolica Arcaica Pisana, che costituisce l’indicatore cronologico principale per il Trecento), testimoni della vita e della storia del villaggio.

 

Monte Cheja (Il castello- San Matteo)

La collina di Monte Cheja domina il paese e gran parte del territorio circostante e ospita imponenti resti archeologici, relativi all’antica parrocchiale di San Matteo, abbandonata nel 1888 per la nuova, ed omonima, parrocchia posta al centro dell’abitato.

Ancora prima l’altura, da cui si ha ampia visuale su tutta l’Anglona e a sud verso Ozieri, Pattada e Monte Pelao, ospitava il castello costruito dalla famiglia dei Doria, di origine ligure, fra il 1348 e il 1350.

Chiaramonti (nei documenti medievali denominata Claramonte, Clarmunt o Çaramonte ), possedimento prima dei tre fratelli Manfredi, Matteo e Brancaleone Doria e quindi dell’omonimo figlio illegittimo di quest’ultimo, divenne capoluogo dell’Anglona interna, passando entro il 1388 al Giudicato di Arborea e forse fra il 1411 e il 1420 a Nicoloso Doria, signore di Castelsardo (allora Castel Genovese).

Il castello venne successivamente abbattuto per la costruzione, o l’ampliamento, della chiesa: di esso restano pochi resti murari a est e a sud della chiesa, oltre che numerosi reperti ceramici.

La chiesa venne costruita nelle forme attuali nel ‘500-‘600; la dedica a San Matteo indica che probabilmente una cappella era già presente al periodo del castello, in quanto l’apostolo è il santo patrono dei Doria.

Attualmente dell’edificio sono visibili i muri perimetrali e la torre campanaria:

La chiesa, di grandi dimensioni (21x10 m),aveva una pianta a navata unica orientata sud-est/nord-ovest, abside quadrata e tre cappelle sul lato settentrionale e quattro su quello meridionale, di cui due poi distrutte.

La copertura era a botte e lo spazio era diviso in sei campate da arcate a tutto sesto.

La torre campanaria presenta base quadrata e cuspide ottagonale con copertura cupolata.

La facciata era molto semplice, a capanna con rosone centrale, e venne abbattuta a metà del XX secolo perché pericolante.

All’interno della chiesa erano presenti molte sepolture, di cui alcune nobiliari e infantili ancora visibili nelle cappelle settentrionali; la prima cappella settentrionale, con arco in stile gotico-aragonese, venne successivamente chiusa e utilizzata come ossario; un altro cimitero, con fosse scavate nel terreno, è ancora visibile a nord della chiesa. Sono ancora leggibili tracce di decorazione scultorea e pittorica, nonché gli altari secondari.

 

Chiesa di Santa Giusta

La chiesa campestre di Santa Giusta de sas Abbas (o di Magola) è ubicata all’estremità occidentale della vallata omonima, presso delle ricche sorgenti, in un contesto paesaggistico di grande valore, abitato intensivamente durante la preistoria e il periodo romano.

La chiesa esisteva già nel 1205, quando, insieme alla vicina Santa Maria de Orria Pithinna, viene donata ai monaci benedettini, provenienti da Camaldoli, dalla nobildonna Maria de Thori.

Santa Giusta è il santuario rurale più venerato nella zona.

Ogni anno migliaia di fedeli, provenienti i centri vicini; partecipano ai festeggiamenti in onore della Santa.

La chiesa raccoglie numerosi ex-voto, segno di devozione dei fedeli che hanno ricevuto una grazia; nei secoli passati il luogo fece da scenario alla stipulazione della pace fra fazioni in lotta.

L’edificio, che attualmente non mostra l’originario aspetto romanico, essendo stata restaurata più volte nel corso del tempo; presenta pianta a navata unica, con contrafforti laterali e campanile a vela (su cui è iscritta la data 1790). Sotto l’altare sgorga una fonte, che la tradizione ritiene curativa, attualmente incanalata nell’acquedotto comunale di Martis. Ad ovest della chiesa sono visibili dei ruderi relativi forse ad alloggi utilizzati dai pellegrini (in sardo cumbessias).

La chiesa di Santa Giusta è inoltre al centro di molte leggende popolari: La presenza di quattro teschi murati nel prospetto interno della facciata è ricollegata alla presenza di un tesoro nascosto dalla Principessa Giusta; si narra che i quattro ladri tentarono di rubare il tesoro e la Santa, come monito per il futuro, li uccise e ne volle mostrare i teschi per dissuadere altri ladruncoli.

La tradizione di un tesoro nascosto (in sardo su siddadu) all’interno della chiesa era ancora considerata seriamente alla fine dell’Ottocento, quando la chiesa venne danneggiata da dei cercatori di tesori: Proprio per rimediare al danno, la pavimentazione venne rifatta e venne commissionato un nuovo altare, ancora visibili all’interno della chiesa.

 

Chiesa del Carmelo

La chiesa della Madonna del Carmelo è posta sull’altura omonima all’interno del centro urbano di Chiaramonti, sebbene fino a qualche decennio si ergesse isolata.

La chiesa e il convento vennero donati dalla cittadinanza di Chiaramonti nel 1586 ai frati carmelitani; è quindi chiaro che esistesse un precedente convento, forse quello San Sebastiano ricordato in un documento del 1585.

Il convento fu oggetto di numerose donazioni nel corso del tempo, e la chiesa fu utilizzata come sede di sepoltura da parte di numerose persone che testavano in favore dei frati (fatto che favorì poi la costruzione del cimitero appena a sud della chiesa nella seconda metà dell’Ottocento), fino al 1866, quando la legge sabauda sulla dismissione dei conventi ne causò la chiusura.

Il convento era posizionato a nord della chiesa e, dopo la chiusura, venne utilizzato come caserma e per botteghe artigianali; venne demolito negli anni Sessanta del Novecento perché pericolante e ne abbiamo attualmente ricordo solo in alcune immagini fotografiche.

La chiesa è a navata unica, con tre cappelle sul lato meridionale, voltata a botta e divisa in tre campate da arcate a tutto sesto; sul prospetto settentrionale esterno sono visibili gli attacchi delle arcate che la univano al convento, che aveva un alzato di due piani.

All’interno dell’edificio è presente un corredo artistico di pregio, con l’altare ligneo seicentesco della Madonna del Carmelo, in cima al quale si trova il busto dello Spirito Santo (in sardo Babbu Eternu) recentemente restaurato, e quello proveniente dalla chiesa campestre di Santa Maria Maddalena, numerosi dipinti, tra cui uno di Santa Agnese con una raffigurazione stilizzata del paese di Chiaramonti, nonché il pulpito ligneo originario.

 

Il Centro urbano

Il centro urbano di Chiaramonti si sviluppa attualmente fino alle immediate pendici meridionale e orientale di Monte Cheja; tuttavia ancora negli anni 60’ del Novecento il paese cominciava circa a 50 m di distanza dall’antica chiesa.

Il centro storico è organizzato ad ovest in quattro vie parallele orientate sud- nord, che risalgono la pendenza. Tali vie sono intersecate quasi ortogonalmente da tre strade che seguono la pendenza.

Tale organizzazione appare come una variante urbanistica dei castelli duecenteschi, che invece presentavano un’organizzazione speculare.

A tale area, mediante l’arteria di Corso Vittorio Emanuele III (tradizionalmente Sa piatta), è connessa la nuova parrocchiale di San Matteo, officiata almeno dall’ottocento col titolo di Oratorio di S.Croce.

Altri punti notevoli dell’antico abitato si trovavano nelle zone denominate CunventuMonte Cheja e Sa Niera.

Si potrebbe dunque ipotizzare che il primo nucleo descritto sia stato il fulcro dell’insediamento di Chiaramonti.

Sappiamo che il secondo modulo fu creato in parte da un’espansione della prima metà dell’ottocento verso la zona rurale di Pala e Cherchu, dubbi permangono invece sul rione di Sa Niera, di cui non è ben chiaro il rapporto con la Chiesa del Rosario, che una prima analisi stilistica sembrerebbe datare al Seicento.

Il centro storico, nonostante le molte manomissioni moderne, è nel complesso ben conservato, con l’antico tessuto urbanistico costituito da vie lunghe e strette su cui affacciano le tradizionali case a due piani, intervallate talora da palazzi di maggior pregio.

Meritano una visita:

-Madonna del Rosario: la chiesa, databile stilisticamente al XVII- inizio XVIII secolo, era sede dell’omonima confraternita.

-San Matteo: l’attuale parrocchiale venne inaugurata nel 1888. L’imponente edificio è in stile neoclassico ed è caratterizzato dalla bicromia degli elementi di costruzione. L’interno conserva numerosi dipinti di Mario Paglietti e statue lignee di fine ‘600.

 

Chiesa Parrocchiale San Matteo

In puro stile neoclassico, eretta in pietra trachitica nel 1888, ha tre alte navate con due colonne e due pilastri per parte. La facciata della chiesa presenta decorazioni, basamento e cornice perimetrale molto scura che contrasta visibilmente con il bianco quasi lucente delle superfici intonacate. La torre campanaria ha base quadrata che va rastremandosi nell'ultimo tratto a pianta ottagonale e realizzata con la stessa trachite della facciata.

 

 

 

 

Chiesa di Santa Maria de Aidos

 

Situata a due passi da Chiaramonti Santa Maria De Aidos è una Chiesetta immersa nel verde. Questa sorge nei pressi dello svincolo che porta alla direttissima SS- Tempio. Questa Chiesa non ha un grande valore dal punto di vista architettonico, ma nonostante ciò è molto visitata dai fedeli, che ogni anno vi si recano per celebrare una settimana religiosa.

 

 

 

 

 

Chiesa San Giovanni Battista

Da non perdere è la Chiesa dedicata all'Apostolo ed Evangelista che ha dato il nome all'omonima località nel paese.

 

 

 

 

 

 

Chiesa del Cristo Re

Recentemente consacrata è situata nella località "La Croce".